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Come la battaglia di Pavia cambiò la storia

Il 24 febbraio 1525 la Battaglia di Pavia segnò per l’Europa una svolta di fondamentale importanza.

A Pavia ebbe luogo lo scontro decisivo tra l’esercito francese guidato dal re Francesco I e l’armata imperiale, costituita principalmente da fanteria spagnola e lanzichenecchi tedeschi, di Carlo V guidata sul campo da Fernando Francesco d’Avalos e Carlo di Borbone.

Pavia si trova ad essere al centro di una dura battaglia che inizia nell’autunno del 1524, quando parte l’assedio della città ad opera dei francesi di Francesco I. Le truppe si accampano a est e a nord, all’interno del grande Parco Visconteo, delimitato da possenti mura.

Ed è proprio all’interno del Parco che dopo quasi quattro mesi di assedio tra imperiali e francesi, scoppiò la battaglia, breve, ma decisiva per le sorti italiane ed europee.

La battaglia si concluse sul fare della mattina del 24 febbraio. Decisiva fu la strategia di nascondere 1.500 archibugieri spagnoli in un bosco, che aprirono il fuoco sul fianco destro della cavalleria pesante francese con effetti devastanti.

Il re francese, umiliato e sconfitto, venne deportato in Spagna, mentre sul campo si contavano circa 5.000 soldati francesi caduti. La storia dice che Francesco I, dopo la cattura, fu inizialmente rinchiuso in un cascinale, poco distante da S. Genesio, la cascina Repentita, a due km a nord di Mirabello. La leggenda narra che la contadina di questa cascina, presa alla sprovvista, non trovò di meglio che servire all’illustre ospite una zuppa composta da ciò che aveva al momento disponibile, inventando quindi la famosa ‘zuppa alla pavese‘.

La battaglia di Pavia segnò anche un momento di passaggio nelle strategie militari. D’ora in poi saranno utilizzate delle armi da fuoco che ‘uccideranno’ per sempre spade e armature. La Spagna si prese, tra le altre cose, Milano.

Tra le diverse opere che ricordano la battaglia, il più significativo è un ciclo di sette arazzi fiamminghi, eseguiti a Bruxelles su cartoni di Bernard van Orley e conservati a Napoli al Museo di Capodimonte (nella foto sopra)